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Si sa che le gabbie che ci trattengono sono per lo più mentali, interne, che il confine è un artificio, e in quanto tale esiste e non esiste, e funziona come la punteggiatura del mondo….
Siamo in un palazzo, in una comune cittadina, anonima, di provincia. Il palazzo ha cinque piani, mettiamo. Potrebbe averne quattro o otto ma questo non è importante. Le finestre sono tutte uguali, in ogni finestra vediamo una scena domestica, con una donna sempre diversa, ma sempre uguale: una signora un po’ pingue, con un vestito nero e i capelli chiusi in una crocchia, che esegue mansioni quotidiane.
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Per prima cosa però vediamo gli uccelli, in un breve stormo, che sorvolano la città. Due di loro si posano sul davanzale di una finestra, e la donna li scaccia. Nella finestra di fianco una donna (la stessa ma diversa) sta stendendo la biancheria. In quella di fianco un’altra (la stessa) spazza per terra. E così in una serie di panoramiche verticali e orizzontali vediamo questo alveare pieno di api operose, prigioniere della loro gabbia. Il finale sarà a sorpresa…
Adesso abbiamo anche un sound designer, uno di cui mi fido, un amico di quelli che danno senso alla parola (che pare si riferisca all’amare senza interessi, indefinitamente): Bob.
http://bobmeanza.altervista.org/blog/
Poche balle e al lavoro Testaccia.